Storia del Comune

Comune di Meolo

Descrizione

LA PREISTORIA

Secondo recenti indagini geologiche, fu un antichissimo corso del Piave,alla fine dell’ultima glaciazione, a costruire e modellare, con i depositidelle sue alluvioni, quella parte ben rilevata di pianura su un cui dosso sìestende parte del territorio meolese. Questo dosso, tuttora emergente tra gliattuali corsi del Sile e del Piave, spentasi l’attività del fiume antico,costituì un luogo sicuro, privilegiato per l’insediamento umano. Esso eraformato da tempo quando, 7500 anni or sono, fu frequentato dall’uomo nomade,cacciatore e raccoglitore, alla fine del Mesolitico. Nel clima arido di quelperiodo, la pianura, prima coperta da foresta di pini, aveva assuntol’aspetto di una steppa. In seguito, i fiumi minori (Meolo, Vallio, MeoloVecchio-Correggio, Gorgazzo) con i loro corsi antichi, erosero parte di queisedimenti prevalentemente sabbiosi, ridepositandoli più a valle, in direzionedi Marteggia e Millepertiche, creando dei rilievi più modesti. Sopra di essisono frequenti le testimonianze della presenza umana tra il neolitico antico(4500 a.C.), l’eneolitico ( 2200 a.C.) e le fasi finali dell’età del bronzo(1000-1200 a.C).

Questo sistema di dossi non fu sepolto dai sedimenti delle successivealluvioni del Piave, nel suo attuale percorso Ponte di Piave-S.Donà risalenteagli ultimi millenni: ciò ha mantenuto la straordinaria documentazione sulletracce della presenza preistorica tra Meolo, Losson e Marteggia, negli stratisuperficiali del terreno e quindi in condizione di possibile rinvenimento.Diversamente, nella bassa pianura a sud di Marteggia i resti della presenzapreistorica saranno sepolti dall’espansione delle paludi costiere formatesicirca 6500 anni fa in seguito all’innalzamento del livello del mare e alconseguente arretramento della linea di costa.

Una seconda fondamentale caratteristica del nostro territorio è la suadislocazione in quella fascia di pianura costiera alto-adriatica che fu datempi remoti una direttrice di flussi migratori provenienti dall’est. Ben siinserisce in questo quadro, la recente individuazione, tra Meolo e Losson, ditracce sicure di insediamento Neolitico della cultura detta dei “vasi abocca quadrata” (IV millennio a.C.). Si tratta di un tasselloimportante, nella bassa pianura veneto-orientale, dello spostamento di quellecomunità neolitiche dalla Jugoslavia del Nord attraverso l’Italiasettentrionale, verso la Liguria. A questa fase del popolamento umanocorrisponde, in un clima caldo umido, una grande espansione della foresta dipianura, dominata dalla quercia.

Saranno proprio le popolazioni neolitiche, che praticavano l’allevamento ela prima agricoltura, a operare i primi disboscamenti. La nostra pianura fusempre in comunicazione, attraverso i fiumi, con le lagune e con il mare.Questa direttrice di spostamenti potrebbe essere posta in relazione con inumerosi contesti della fase finale dell’età del bronzo e della prima età delferro (fine Il-inizi I millennio a.C.) diffusi nella zona ma particolarmentein Marteggia nell’area che sarà percorsa dalla via Annia: età in cui l’altoAdriatico, le sue lagune e i suoi fiumi sono già divenute vie di scambicommerciali e culturali con il Mediterraneo.

L’ETÀ ROMANA

Nel corso delle ultime fasi del popolamento preistorico e protostorico,piccole comunità di agricoltori e allevatori, diffuse nella nostra zona,operarono limitati interventi di sistemazione agrario-idraulica. Le rare masignificative testimonianze di questa attività (fossati-scoline, forsediversioni fluviali, piccole bonifiche), rilevate a sud-est del centro diMeolo e a Marteggia, sembrano confermare l’ipotesi, che i successiviinterventi agrari romani, condotti su più ampia scala, ricalcarono quelleantiche organizzazioni territoriali. La stessa via Annia (131 a.C.) è oggivista come il rifacimento di un tracciato che collegava i principali centripaleoveneti e quindi gli insediamenti minori. La sua costruzione produssecertamente una trasformazione profonda di queste campagne, alterando con ilproprio argine l’instabile equilibrio idraulico. Ma, oltre al passaggio dieserciti e di imperatori, all’intensificarsi di un antichissimo flussomigratorio dalle aree dell’est Europa e del vicino Oriente, la strada fuveicolo degli interessi economici e commerciali della vicina Altino, portofluviale sull’Adriatico e nodo stradale tra nord ed est Europa di grandeimportanza. E’ da collegare a queste dinamiche l’intensificarsi, tra il Isecolo a.C. e il I secolo d.C., della presenza di ville rustiche, difattorie, testimoniate dalla quantità e dal pregio dei materiali raccolti insiti di notevole estensione, con caratterizzazioni produttive, documentate inquesti anni nella campagna meolese. Era qui, come nel resto dell’Agro, chedoveva essere prodotta la pregiatissima lana altinate; allevate le “cevae”,vacche di piccola taglia, ottime produttrici di latte; prodotto il vino chesi esportava, prima che la concorrenza transalpina (II sec.) ne determinassela crisi. Pascoli, arativi e boschi furono organizzati in un’area centuriatache comprendeva, probabilmente, l’odierno centro di Meolo e si estendeva, anord dell’Annia, fino al Sile nelle campagne di Ca’ Tron e di Marteggia.Altri piccoli “graticolati” sono stati individuati ai lati della stradaromana tra Meolo o Millepertiche, riferibili a consistenti poderi di singolefattorie. Numerose sono le testimonianze di insediamenti poveri e dellerelative necropoli nelle quali coesistono ancora nel I sec. d.C. materiali diantica tradizione paleoveneta (coppe in argilla grigia usate come ossuari)accanto a manufatti romani (anfore e laterizi). Molto limitate sono letestimonianze del Il e III sec. d.C. (periodo di crisi economica e di calodemografico), che ricompaiono nel IV sec., quando furono avviate politicheper la ripresa dell’agricoltura e si lavorò al ripristino della via Anniacome è documentato da un cippo militare (383-392 d.C.) e dallo scavo di unponte scoperto a Marteggia nel 1991. Lo scavo permise di documentare ilprotrarsi fino al VI e forse al VII sec. dell’uso della strada, e consentì dimisurare i livelli dell’acqua lagunare (risalita lungo il fiume) al momentodel crollo del ponte.

La presenza diffusa di monete greche e di altre provenienti da zeccheromane dislocate nei Balcani e in Turchia, il tesoretto di 515 denarid’argento (tra il 269 e il 29 a.C.) rinvenuto negli anni 30, rendono benel’idea della circolazione finanziaria e quindi di persone e di merci, nelnostro territorio in età romana.

IL MEDIOEVO

La crisi ambientale iniziata nella tarda età romana, dovutaall’ingressione della Laguna e alla conseguente espansione delle paludi versol’entroterra (il livello del mare di età romana è circa 2,5 metri inferioreall’attuale) unita alle molteplici invasioni barbariche, posero in crisi adondate successive e per molti secoli dell’alto medioevo, l’organizzazioneterritoriale delle nostre campagne: il sistema viario, l’assetto agrario edil sistema idraulico romani, furono ripetutamente sconvolti e ripristinaticon nuovi assetti. Intanto, fin dalla conquista longobarda (569) e con iltrasferimento in laguna della diocesi di Altino, la terraferma tra il Sile edil Piave, come il resto dell’Agro di quella città, furono incorporati nelladiocesi di Treviso. Meolo venne così a trovarsi in posizione di confine trale dominazioni “barbariche” di terraferma (Longobarda prima e poiCarolingia) e la fascia lagunare, controllata dai Bizantini in cui andavasorgendo Venezia. Questa particolare posizione ne determinò le complicatevicende politico-militari nel corso del basso medioevo. Attraverso ilterritorio meolese scorrevano infatti i fiumi che, dal basso trevigiano,scendevano in laguna: fiumi minori, ma dotati fin dal IX secolo di scaliportuali, di fondaci, palade daziarie, mulini, per un intenso ed anticoscambio commerciale tra la laguna e la terraferma. Probabilmente nel X sec le”curie” di Medade (Losson) e di Meolo con i boschi della Martellia(Marteggia) divennero oggetto di donazione imperiale al patriarcato diAquileia, cui sarà soggetta la vicina abbazia benedettina di Monastier. Lerisolute rivendicazioni di Treviso accesero un lungo periodo di conflitti edi devastazioni per il controllo di quei territori dove, forse proprio aMarteggia, i trevigiani avevano scavato un canale di navigazione cd eretto un”castelletto” (inizi del 200). La ricca documentazione storica di questavicenda, ci restituisce un quadro geografico ed economico della nostra zonatra il XII e il XIII secolo, nel pieno delle lotte per l’espansione el’affermazione dei comuni e delle signorie tra Veneto e Friuli: il paesaggiomedioevale della nostra campagna è caratterizzato da vaste estensioni dibosco dove domina il rovere, dislocate soprattutto a sud di Meolo doveconfinano e si immergono nelle paludi; prati, pascoli ed arativi organizzatiin “mansi” e “chiusure” si vanno espandendo a scapito del boscoattorno alle “ville” (villaggi) di Meolo e Losson che sono sede, conMarteggia, di tre “castelletti”, postazioni difensive o di guardia.Meolo era pieve soggetta al vescovo di Treviso. La sua istituzione risaleprobabilmente a prima dei Mille, come potrebbe documentare il suo patrono S.Giovanni Battista, santo di venerazione longobarda, legata all’acqua. Allafine del quattrocento dalla Pieve dipendevano due chiese campestri: Losson(che verrà parrocchia nel ‘500) dedicata a S. Girolamo, e Marteggia, dedicataa S. Liberale patrono di Treviso. Nel 1995 è stato scoperta e parzialmentescavata un ‘area cimiteriale medievale, frequentata tra i secc. XII-XV, nelprobabile sito della chiesa campestre di Marteggia. L’interpretazione diquesto contesto, che si pensa essere lo stesso in cui sorgeva il“castelletto”, ai margini del bosco conteso della Martellia, potràscrivere una nuova pagina della storia medievale della comunità civile edella Chiesa di Meolo.

 

IL PERIODO VENEZIANO

Una mappa del 1547, rappresentante parte del territorio meolese, cidescrive in modo esemplare quanto, alla metà del ‘500, sta accadendooramai da molto tempo nelle nostre campagne: degli “infiniti boschi” lungo ilVallio e tra il Meolo e la Fossavecchia, della “quantità de legname da fuogoe nave e galie” che qui, Marco Cornaro, proto veneziano, vide e descrisse nelmarzo del 1442, rimane solo un modesto bosco a Marteggia, assediato a nord davaste estensioni di coltivi con casoni, fattorie e strade di collegamento. Asud la palude si è probabilmente espansa allagando i boschi sotto laFossetta. Le indicazioni di proprietà sopra boschi, prati, pascoli, arativi epaludi, parlano quasi esclusivamente veneziano: Bragadin, Cappello, Morosini,Venier, Foscari, Malipiero, Collalto, con i monasteri lagunari di S. Arian,della Val Verde, di S. Daniele, di S. Maffeo. La penetrazione economica,l’investimento fondiario della nobiltà e del clero veneziani interraferma, erano iniziati ben prima che Meolo, con il trevigiano, diventasseparte del dominio veneziano di terra (1389). Nel secolo intercorso tra lavisita del Cornaro e la redazione della mappa, molte altre cose eranocambiate. La Fossetta e il Meolo erano stati riscavati e resi navigabili dapiù grosse imbarcazioni. Diverranno sede di due traghetti, che assicurano ilcollegamento commerciale (legno, derrate alimentari, sale, viaggiatori) conl’area lagunare. I Malipiero, i Capelletto, i Corner, presto seguiti daiPriuli, avevano eretto lungo il Meolo splendide residenze di campagna. Nel1543 era completata la costruzione dell’argine di S. Marco ed altriinterventi nella rete idraulica a nord di Meolo, per difendere la laguna e iboschi della gronda dalle alluvioni del Piave e dalle esondazioni dei fiumiminori. La politica veneziana del territorio, basata sulla difesa strategicadella laguna e degli interessi del proprio patriziato (che in terraferma,guarda alla terra “come la fedele custode dei suoi capitali”),lascia tracce profonde e di lunga durata nell’agricoltura e quindinell’economia e nella società locale. Se notevoli sono infatti, nelterritorio comunale, gli edifici rurali tra ‘500 e ‘700 (riferibili a grossemasserie), essi rendono un’immagine parziale di un’agricoltura che, dominatadalla grande proprietà nobiliare ed ecclesiastica, si basa al contrario,sulla piccola azienda, dove tanto le forme di conduzione, quanto le strutturetecniche tarderanno storicamente ad evolversi. Sul finire del ‘600, leimponenti opere idrauliche per salvare la laguna dalle torbide dei fiumidella gronda, sono compiute: dopo aver portato il Piave a sfociaredirettamente in mare, la Serenissima effettua la diversione del Silenell’alveo della Piave Vecchia, chiudendo la pianura tra i due fiumi in unagrande sacca palustre alimentata dalle esondazioni del Sile, del Meolo e delVallio. La malaria, cronica nella zona da secoli, imperverserà finoall’avvento delle bonifiche la cui realizzazione sarà completata negli anni30 di questo secolo. Intanto, il traghetto della Fossetta, manterrà la suaimportanza fino alla costruzione della ferrovia (1876), per poi continuarefino al 1955.

 

L’OTTOCENTO

Dalla caduta della repubblica di Venezia (1796) Meolo sembra arrivare,attraverso le alterne dominazioni francesi ed austriache (1797-1866),all’annessione al regno d’Italia, senza subirne i traumatici contraccolpipolitico-militari ed istituzionali. Ma è l’attività dell’amministrazionecivica della seconda metà del secolo, il cui ceto dirigente è legato allagrande proprietà terriera, a documentarci aspetti della travagliatatrasformazione delle campagne venete dell’800.

Nel 1851 (dominazione austriaca) l’amministrazione civile era retta dalConvocato degli Estimati, ovvero dei possidenti o dai loro procuratori. Ilpatriziato veneziano che deteneva ancor la gran parte delle proprietà, avevaceduto il posto alla nuova borghesia agraria, ed era scomparsa la proprietàecclesiastica. Nel 1867 (Regno d’Italia dal 1866), il Consiglio Comunale èelettivo e tra i componenti, che sono in prevalenza gli stessi possidenti delprecedente quadro istituzionale, compaiono alcuni cognomi“storici” di Meolesi.

Dalla lettura delle delibere risalta con molta evidenza, in pieno 800, latotale assenza di riferimenti all’agricoltura, ai contadini, al mondo rurale,nell’attività del Consiglio. L’ondata di miseria che stava passandosull’agricoltura veneta, gli scompensi sociali che ciò produceva,sembrano non trovare eco alcuna nell’istituzione comunale.

Il Consiglio si trova invece a doversi occupare sempre più spesso di unamassa inquietante di disoccupati “miserabili” che diede pane elavoro e costituisce una minaccia per l’ordine pubblico.

Nel maggio del 1874 ciò sembra accadere solo per una contingenza: pioggeprolungate riempiono le paludi e “… molti braccianti poveri sitrovano senza lavoro e quindi impossibilitati a vivere nell’attuale caro deigeneri di prima necessita…”.

Con la delibera “Lavoro ai braccianti miserabili che ne hannobisogno” del 13 maggio il Consiglio interviene con il fondo“Spese straordinarie di lavori pubblici” assegnando ai disoccupati lasistemazione della strada di Ca’ Corner. Ma già nel 1872 il consiglio si eradovuto occupare di una “… rimostranza fatta da alcuni operai del paeselicenziati a Ca’ Tron …”, e più volte tra il 1871 e il 1879,aveva dovuto tener conto dei “… miserabili stramaiuoli…”,(braccianti che lavoravano alla raccolta dello strame), “…che siintrattengono gran parte dell’anno nelle paludi…”, se non altroper allontanare i depositi di strame che impedivano il transito della odiernavia S. Filippo.

La popolazione scolastica “della classe villica e più rozza”, speciele fanciulle, abbandona la scuola, per seguire i lavori campestri, nellabuona stagione (1871). La pressione dei “miserabili” arriverà a livelli diemergenza alla vigilia della l^ Guerra Mondiale; nel 1920 la giuntasocialista li impegna nella bonifica dì S. Filippo-Marteggia.

Certo la Meolo ottocentesca è più articolata e vitale di quanto qui possaapparire, (la nostra bella architettura rurale e residenziale bastano atestimoniarlo): ma questa massa crescente di nullatenenti o proprietari “dipiccolissimi orti o microscopici ritagli di terreno”, senza padrone e senzamestiere, sono la nuova figura sociale prodotta dalla trasformazione in attonelle campagne venete tra otto e novecento.

Nella società meolese che si va così stratificando, entrano in scena,accanto alla borghesia agraria imprenditoriale, i nuovi soggetti ed i nuovifermenti di una comunità che non è più semplicemente definibile “rurale”.

 

IL NOVECENTO

La difficile eredità sociale ed economica dell’Ottocento, va di pari passocon la generale precaria condizione igienico sanitaria: la pellagra, ancorala malaria ma ora anche la fame rendono incandescente il clima sociale,mentre si va verso la guerra mondiale: nel 1908 il comune distribuiscechinino ai poveri, nel 1914 distribuisce 100 quintali di granoturco “… allaclasse operaia disoccupata… per evitare sommosse come ebbero a verificarsiin comuni vicini…” e fa appello a tutti i possidenti del Comune affinchéprovvedano ” … al mantenimento dei loro dipendenti…” che nonpotranno ricevere il grano a prezzo di favore; nel 1915 sloggia le scuoleelementari di Losson per crearvi locali di isolamento essendo insufficienteil vecchio Lazzaretto del capoluogo, mentre i pellagrosi vengono ricoverati aMogliano.

Nel 1918 sarà Losson il teatro dell’urto terribile, definitivo, delconflitto mondiale, ma tutta l’economia del comune ne sarà gravementedanneggiata. Negli anni immediatamente successivi la Grande Guerra, in unclima di acceso confronto politico e spesso di scontro sociale (sfrattiagrari, occupazione delle terre), la società meolese mostrerà la suadeterminazione nello sforzo di ricostruire, cercando uno sbocco alleemergenze sociali più acute: disoccupazione, salute, ripristino dellecampagne e dell’agricoltura. Il ricorso ai lavori pubblici contro ladisoccupazione è un vecchio espediente, ma questa volta si cerca di legarload un progetto unitario che affronti tutte le emergenze. La delibera del 10gennaio 1920 è una lucida ed appassionata manifestazione di questa volontà diricostruire: si definiscono “irrisori” i precedenti interventicontro la malaria che infierisce su Meolo e “…che con la guerradistruttrice di ogni opera pubblica ha aumentato la sua diffusione…”; ma“… un periodo di vera ricostruzione del patrimonio nostro… eil fiorire dell’agricoltura” sono possibili solo togliendodall’avvilente necessità del sussidio… la massa impressionante didisoccupati… che devono superare questo convulso periodo ditransizione…”, e con la salute dei cittadini. Si decide diintraprendere una parziale bonifica delle zone paludose di S.Filippo-Marteggia, dove trovano lavoro i molti operai che nel 1919 si eranocostituiti in cooperativa.

Quel progetto di bonifica sarà estesamente compiuto tredici anni dopo, inmutate condizioni politiche e con diverso finalità sociali, dalla bonificaintegrale (1933).

Per le profonde trasformazioni ambientali che produsse, per le risorseumane ed ideologiche che mobilitò, e talvolta per le disillusioni subite, lamemoria della bonifica è ancora oggi vivissima, in chi ne fu protagonista ospettatore, quasi in forma di epopea locale. Con essa scomparve la palude edanche l’economia dello strame fatta da uomini che per secoli vi lavoravano incondizioni che oggi definiremmo “estreme”.

Vent’anni più tardi (1945), con la fine del secondo conflittomondiale e del fascismo, si concludeva una fase cruciale della nostra storiarecente, vissuta attraverso divisioni che dovettero apparire incomponibili,alla fine della quale, la lotta di liberazione nazionale coagulò le risorseumane e politiche che dovevano transitare il Paese alla modernademocrazia.

 

VILLE VENEZIANE SUL MEOLO

Risalendo il Meolo verso il paese che dal fiume origina il nome numerosesono le facciate di ville venete che si specchiano nell’acqua, edificate dalpatriziato veneziano durante i secoli di governo della Serenissima.Facilmente si giungeva a Meolo da Venezia attraverso le valli e i canali,direttamente con le imbarcazioni, che animavano su queste vie d’acqua unintenso movimento con vivaci scambi commerciali e svariate attivitàproduttive. Così nacquero questi storici edifici, in parte per assecondarealle esigenze di svago e riposo delle nobili famiglie veneziane, nella quietedella campagna lontani dall’affollata capitale lagunare, in parte perassolvere ai bisogni di controllo delle attività commerciali edell’agricoltura

Spingendo l’occhio del visitatore lungo il corso del fiume che continuavanel suo antico tragitto verso la laguna, s’incontra provenendo da sud VillaDe Marchi-Nardari che richiama alla mente le progettazioni del razionalismosettecentesco; è collocata al centro di un vasto parco, dotata di foresteria;presenta un notevole sviluppo orizzontale grazie alle ampie ali assimetricheche armoniosamente corredano il corpo centrale, riprendendone condistribuzioni alternate i motivi architettonici.

Più avanti si presenta molto originale per la parte decorativa lapidea lamassiccia Villa Priuli Boscain, dal bel giardino, che rivela nei suoi diecimascheroni tutti diversi l’uno dall’altro l’aspetto di una costruzioneseicentesca. In adiacenza alla villa il piccolo oratorio dedicato a SanFilippo Neri, con stemmi in pietra d’Istria della famiglia Cappello.

Giunti nel centro del paese si trova Villa Folco-Dreina, ora Cagnato,detta “delle colonne” per il caratteristico colonnato binato d’insolitafattura del pianterreno, di datazione incerta ma risalente nell’impianto aiprimi secoli della Dominante;

di fronte, oltre la piazza sorge Villa Dreina, ora di proprietà comunale,eretta in forme sobrie agli inizi dell’Ottocento, qui ospitò nell’inverno del1917, dopo la rotta di Caporetto, il Comando Supremo dell’Esercito Italiano;qui sarebbe avvenuto il passaggio delle consegne tra il Generale Cadorna e ilGenerale Diaz. Di grande interesse la bella barchessa settecentesca adiacentealla villa, dall’armonioso porticato, in fase di ristrutturazione.

Pure il Palazzo Dal Maschio si trova nei centro del paese, ma versa in undeprecabile stato di abbandono; rivela tuttavia nella tipica serliana e nelcornicione indubbi tratti rinascimentali, nonostante le precedenti datazionial XVII secolo; è certamente meritevole di recupero.

Sempre sul Meolo si affaccia, nel cuore del paese, il quattrocenteseoPalazzo Cappello, ora sede municipale, dalle forme semplici, prettamenteveneziane: corpo unico a tre piani di diversa caratterizzazione, con finestrerettangolari al piano terra, monofore al primo piano fiancheggianti unatrifora centrale alla facciata, aperta su un piccolo poggiolo in pietrad’Istria. All’interno decorazione a fresco nei saloni centrali ed in alcunesale, con figurazioni floreali, stemmi della casata, affreschi allegorici concartigli. Una fine Madonna con bambino si trova invece sul ballatoio dellescale.

<>Appena dopo la chiesa pievanie, pure costruita sulle rive delfiume, si trova Villa Malipiero, ora Marini, appartenente allo stesso secoloXV, composta da un corpo unico a tre piani e tetto a capanna con abbainocentrale; il piano terra presenta un grande androne d’accesso con due portalisimmetrici, mentre il piano nobile è impreziosito da grandi monofore cheaffiancano un’elegante trifora arcuata aperta s’un bel poggiolo. Di notevolepregio la vera da pozzo veneziana conservata nel verde parco.

Infine, a nord del paese risalendo sempre il fiume Meolo, probabilmentesulle fondazioni dell’antico Castelletto, sorge Villa Corner, ancora delsecolo XV, in fase di restauro, che riprende molto da vicino l’impostazione,la partitura interna e le decorazioni a fresco di Palazzo Cappello;testimoniata soprattutto dal suo oratorio settecentesco della Beata Verginedel Carmelo, particolarmente venerata dai Meolesi.

Di notevole rilevanza anche Villa Vio per l’interessante decorazione atappezzeria esterna e per i notevoli affreschi interni, recuperati da unsapiente restauro.

 

LA PARROCCHIALE DI MEOLO

La parrocchiale di San Giovanni Battista s’affaccia sul Meolo con la sua bella facciata ripristinata nel suo originario aspetto romanico da recenti restauri.

Pieve della diocesi di Altino sin dai primi secoli in cui il cristianesimo si diffuse in queste terre, compare in un diploma del 15 luglio 1146 con il quale il vescovo di Treviso Gregorio l’assegnava al Capitolo dei canonici di Treviso.

A scorrerne la storia, nella lista dei “plebani” figura un Francesco Lamberti (1524-1526), al quale si deve un intervento di ristrutturazione dell’edificio (“fate più grandi le pietre sacre”…). Giandomenico Tiepolo figlio di Giambattista vi dipingerà, nel 1758, ad affresco sul soffitto del presbiterio il Battesimo di Gesù e nei pennacchi i Quattro Evangelisti, eseguiti a monocromo.

La chiesa è di forme romanico-rinascimentali, con interno sobrio ed elegante, a tre navate separate da una doppia fila di colonne; riconsacrata nel 1779 dal vescovo trevigiano Giustiniani, possiede un altare marmoreo di Pietro Baratta dedicato alla Madonna del Rosario. La cantoria lignea del ‘600 ospitava in passato un Callido: ora suona un organo di G. Hradetzky (1996) di pregevoli sonorità.

Ultimo aggiornamento: 20/08/2024, 11:11

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